L’Oss e la gestione del tempo: quanti minuti dedicare ad un singolo paziente?
Il problema si verifica soprattutto nelle strutture private, soffocate da un elevato numero di utenti e portate avanti da un personale che, il più delle volte, si rivela numericamente insufficiente. Oggi voglio riaprire un argomento di cui mi sono già occupato in passato, quello cioè della gestione del tempo dell’operatore socio sanitario. La tempistica è una componente molto importante di questo lavoro, anche se non l’unica. Ma qual è il tempo veramente necessario da dedicare ad un paziente?
Qualità e celerità: la sfida quotidiana di ogni Oss.
Assistere più pazienti nel minor tempo possibile, e saperlo fare nel migliore dei modi. È questa la sfida quotidiana che devono affrontare Oss ed infermieri. Da una parte la qualità del servizio, e il rispetto di tutte le procedure previste, che devono essere sempre garantite perché nel nostro lavoro non sono ammesse leggerezze. Dall’altra, la celerità della prestazione, altrettanto importante per evitare che altri pazienti attendino tempi biblici prima di ricevere la nostra assistenza. Ed è così che questo mestiere diventa un’estenuante corsa contro il tempo. La formazione intrapresa che ci ha abilitato alla professione di operatore socio sanitario si è basata non solo sull’acquisizione delle competenze tecniche e pratiche, ma anche sull’assimilazione di alcuni valori etici legati all’assistenza. Alcuni di essi sono per esempio l’empatia, l’ascolto e la centralità della persona nel servizio di assistenza. Concetti che troppo spesso cozzano con i ritmi frenetici e la mole di lavoro tipici della nostra professione. Si tratta di un problema di cui non si parlerà mai abbastanza. Un problema più comune che personale, anche perché ho la fortuna di lavorare in una struttura dotata di personale pronto ed attrezzato a fronteggiare ogni situazione. Ma troppo spesso mi capita di ricevere email e segnalazioni di colleghe e colleghi costantemente alle prese con questo problema. Tempo fa, per esempio, Roberta da Forlì ha scritto su un famoso gruppo Facebook dedicato agli Oss, queste testuali parole: “Lavoro come Oss da pochi mesi, ma l’unico messaggio che ho ricevuto è che, in questo lavoro, è più importante la velocità nell’assistere il maggior numero di ospiti nel minor tempo possibile, in modo da non far arrabbiare i colleghi e chiunque lavori vicino a te”. Lo sfogo di Roberta è quello di tanti altri operatori chiamati ad affrontare ritmi intensi di lavoro, spesso insostenibili, che mortificano e dequalificano la nostra professione.
Quanto tempo dedicare ad un singolo paziente?
Per ovvie ragioni dare una risposta esatta a questo quesito è molto difficile. È la classica domanda da un milione di dollari, la cui risposta dipende sicuramente da una molteplicità di fattori. Il primo, lo stato di salute del paziente che deve ricevere la nostra assistenza. Il tempo dedicato, per esempio, ad una persona tetraplegica non può essere lo stesso di quello previsto per un paziente parzialmente autosufficiente. L’assistenza ad una persona costretta a letto da una particolare patologia richiede un tempo più o meno lungo, anche quando si è in due (circa 30-35 minuti). Al contrario, un paziente collaborante, quasi completamente autonomo, richiede meno tempo. Altra considerazione che va fatta è data dal numero degli operatori impiegati per ogni singola persona. È chiaro che due operatori riducono notevolmente i tempi di assistenza, mentre, al contrario, un solo lavoratore impiegherà inevitabilmente più tempo. Ci sono poi altri fattori da valutare. Ad esempio il cambio delle lenzuola. Se effettuato su un paziente costretto a letto potrebbe prolungare i tempi di assistenza. A volte può essere necessario l’intervento dell’infermiere per la medicazione di una lesione da pressione o per la sostituzione di un catetere. Interventi sicuramente necessari ma che allungano ulteriormente i tempi. Altri episodi accidentali, non messi nel conto, come per esempio la rottura di un laccio di scarpa (alla Fantozzi per intenderci) accrescono i tempi previsti per l’assistenza al paziente. Escludendo gli episodi fortuiti e gli interventi infermieristici, orientativamente il tempo previsto per l’assistenza ad una persona parzialmente autosufficiente è di circa 20-25 minuti. Molti addetti ai lavori potrebbero dissentire e considerare questi tempi anche eccessivi. Ne sono consapevole. Ma credo che sia il tempo minimo necessario da dedicare ad un soggetto, che non è solo un anziano o un diversamente abile, ma soprattutto (e innanzitutto) una persona, e come tale va trattata. Ovviamente una valutazione complessiva può essere effettuata, come sottolineavo prima, solo tenendo in considerazione il numero degli ospiti, quello degli operatori e il tempo a disposizione.
Alla fine? Nessuna reale risposta